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mercoledì 30 marzo 2011

Commento sull'Inno d'Italia 3

Io penso che l’Inno sia la cosa che simboleggia di più noi italiani. Infatti  ce lo teniamo stretti da ben poco tempo. Goffredo Mameli  l’ha scritto appena  nel 1847, ma noi ne andiamo fieri ugualmente perché diciamo sempre che come il nostro non ce n’è nessun altro. Su questo c’è da precisare una cosa e da fare un commento ben chiaro: perché il nostro Inno  è il migliore?
Beh, per noi è il migliore, ma in realtà il nostro è un Inno che da forza, carica e che simboleggia la Patria e non solo.
Il “non solo” è perché la religione è anche l’altro argomento, io infatti penso che la strofa più bella sia proprio quella che indica la fede in Dio. Ve la ripropongo qui sotto:
Uniamoci, amiamoci,
L’unione e l’amore
Rivelano ai popoli
Le vie del Signore;
Giuriamo far libero                 Michele Novaro          
Il suolo natio:
Uniti per Dio
Chi vincer ci può?
Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L’Italia chiamò.
Che belle parole, vero? Io penso proprio che sia questa la vera forza dell’unione del nostro Paese, un Paese che secondo me non è stato mai unito perché tra di noi non c’è il vero senso di “unione”come in altri paesi, ad esempio gli Stati Uniti, ma l’unica cosa che ci unisce è proprio questo Inno, o meglio questa strofa dell’Inno che infatti cita la parola “uniamoci”, una parola di cui finora non co0nsciamo il significato, ma che possiamo apprendere analizzando che cosa ci voleva insegnare Goffredo Mameli scrivendo questo Inno e riscoprendo la nostra storia che ci accomuna e per questo “unisce” tutti gli italiani.

Articolo di Filippo della classe 2 A

martedì 29 marzo 2011

Commento sull'Inno d'Italia 2

Alcuni giorni fa, in occasione del 150° Anniversario dell’Unità d’Italia, la nostra classe con la Professoressa Enrica Camillini ha ascoltato l’Inno scritto da Goffredo Mameli e insieme abbiamo approfondito l’argomento. Tutte le parole del testo hanno un significato ben preciso, l’Inno racconta la nostra storia ;dai Romani fino al Risorgimento. A differenza degli inni di altre nazioni il nostro è molto più significativo ed interessante perché gli avvenimenti sono tutti collegati e raccontati in poche strofe.
In particolare la strofa dell’Inno che mi è piaciuta di più è:
“Son giunchi che piegano
Le spade vendute.
Già l’aquila d’Austria
Le penne ha perdute.
Il sangue d’Italia,
Il sangue Polacco,
Bevè col Cosacco,
Ma il cor le bruciò.”
In questi versi si preannuncia la liberazione dal dominio austriaco.
Abbiamo inoltre confrontato il nostro Inno con quello dell’Albania perché due nostri compagni sono Albanesi e abbiamo notato che sono molto simili.
La cosa che mi piace di più del nostro Inno comunque è che ascoltarlo ci fa sentire uniti come dice un strofa, legati insieme come fratelli, sotto un’unica bandiera.

Articolo di Nicolò della classe 2A

lunedì 28 marzo 2011

Commento sull'Inno d'Italia

Secondo me l’Inno d’Italia è molto importante per noi italiani, perché ci fa ricordare la nostra storia e le nostre origini, le guerre e le riforme che i nostri antenati hanno fatto per far vivere una bella vita ai futuri italiani, cioè noi!
E’ pieno di significato e secondo me tutti dovrebbero leggerlo per capire quanto importante e strano sia allo stesso tempo.
E’ una specie di marcia che però, se ascoltata bene, sembra quasi un programma storico che immortala la storia italiana nei suoi momenti più importanti.

Goffredo Mameli

Una persona può anche immaginarsi delle scene, per esempio quando un semplice ragazzo, di nome Balilla, scaglia delle pietre contro l’esercito invasore e, piano piano, si uniscono anche tutti gli altri del popolo.
Insomma è un Inno splendido non tanto per la sua melodia, ma per i ricordi che sono scritti al su interno!
Commento di Elena della classe 2 A.

Inni albanese ed italiano

L’ inno albanese

Il testo fu scritto dal poeta albanese Aleksander Stavre Drenova (1872-1947). L'inno apparve per la prima volta come poema in Liri e Shqipërisë ("Libertà dell'Albania"), un quotidiano di lingua albanese pubblicato a Sofia (Bulgaria), nel 1912. In seguito fu inserito in una raccolta di poesie di Drenova intitolata Ëndra e lotë ("Sogni e lacrime") pubblicata a Bucarest (Romania).
La musica dell'inno fu composta dal rumeno Ciprian Porumbescu (1853-1883) che mai pensò all'Albania. Questi compose la musica come canto patriottico romeno "E scris pe tricolor unie". Ventinove anni dopo la sua morte, Drenova passando per Bucarest lo udì e lo adattò ai suoi versi. Questa musica è molto spigliata e trascinante.
Nel 1939, il dittatore dell’ Albania tagliò le ultime 8 righe dell’ inno perché invocavano Dio, che a quel tempo non esisteva perché non erano ancora nate le chiese in Albania.

L’ inno italiano

Dobbiamo alla città di Genova Il Canto degli Italiani, meglio conosciuto come Inno di Mameli. Scritto nell'autunno del 1847 dall'allora ventenne studente e patriota Goffredo Mameli, musicato poco dopo a Torino da un altro genovese, Michele Novaro, il Canto degli Italiani nacque in quel clima di fervore patriottico che già preludeva alla guerra contro l'Austria. L'immediatezza dei versi e l'impeto della melodia ne fecero il più amato canto dell'unificazione, non solo durante la stagione risorgimentale, ma anche nei decenni successivi. Non a caso Giuseppe Verdi, nel suo Inno delle Nazioni del 1862, affidò proprio al Canto degli Italiani e non, alla Marcia Reale, il compito di simboleggiare la nostra Patria, ponendolo accanto a God Save the Queen e alla Marsigliese. Fu quasi naturale, dunque, che il 12 ottobre 1946 l'Inno di Mameli divenisse l'inno nazionale della Repubblica Italiana.

Anche all’ inno italiano sono stati tagliati alcuni pezzi.


                                                                          
 FRATELLI D’ITALIA E D’ALBANIA

Gli inni di Italia ed Albania presentano delle somiglianze perché entrambi si basano sull’amore di patria e sull’onore, inoltre trasmettono energia e forza necessarie per affrontare qualsiasi sfida e problema. Un bellissimo elemento in comune è quello di incitare il popolo all’amore della propria patria ed esaltarne la storia e la bellezza.
Se gli inni di due nazioni così vicine come Italia ed Albania esprimono gli stessi valori ed ideali, allora forse è ora che le persone li mettano in pratica e ci si senta veramente tutti “FRATELLI”.  

Articolo di Davide e Klaus della classe 2 A.


Croce Rossa è Volontariato

Il Movimento della Croce Rossa opera nel campo dell’aiuto umanitario sulla base di sette principi fondamentali comuni.
UMANITA’
La Croce Rossa, organizzazione di volontariato nazionale ed internazionale, si sforza di prevenire e di alleviare in ogni circostanza le sofferenze degli uomini. Essa tende a proteggere la vita e la salute e a far rispettare la persona umana, favorisce la comprensione reciproca, l’amicizia ed una pace duratura fra tutti i popoli.
NEUTRALITA’
La Croce Rossa si astiene dal prendere parte alle ostilità e, in ogni tempo, alle controversie di ordine politico, razziale, religioso.
IMPARZIALITA’
La Croce Rossa non fa alcuna distinzione di nazionalità, di razza, di religione, di condizione sociale e appartenenza politica. Si adopera solamente per soccorrere gli individui secondo le loro sofferenze dando la precedenza agli interventi più urgenti.
INDIPENDENZA
La Croce Rossa rispetta le leggi dei paesi in cui opera, conserva però un’autonomia che gli permette di operare secondo i principi fondamentali.
VOLONTARIATO
La Croce Rossa è un’istituzione di soccorso volontaria e disinteressata.
UNITA’
In uno stesso Paese può esistere una ed una sola Società di Croce Rossa.
UNIVERSALITA’
uguali La Croce Rossa è in’istituzione universale in seno alla quale tutte le Società hanno diritti ed il dovere di aiutarsi reciprocamente.
La Croce Rossa Italiana raggruppa i Volontari nelle seguenti componenti: Volontari del Soccorso,Volontarie del Comitato Femminile, Infermiere Volontarie (Crocerossine ), Donatori di Sangue, Corpo Militare e Pionieri.
Alla componente dei Pionieri possono aderire i giovanissimi da 14 anni in sù .E’ una proposta da prendere in considerazione a breve!

Ricerca a cura di Pavel della classe 3 A

domenica 27 marzo 2011

La nascita della Croce Rossa

Il giorno 18 marzo 2011 abbiamo avuto un incontro con una rappresentante della Croce Rossa Italiana che ci ha spiegato come è nata questa associazione di volontariato.
Il fondatore della Croce Rossa fu un signore svizzero, Jean Henri Dunant, che nel 1859 si trovava in Lombardia nei pressi di Solferino. Assistette alla famosa battaglia, tappa fondamentale per gli sviluppi del Risorgimento. Rimase tanto impressionato dal gran numero di vittime e feriti che sentì la necessità di partecipare alle operazioni di soccorso.
Organizzò il trasporto e l cura dei feriti nei paesi vicini, dove vennero assistiti dalle donne del posto in chiese, scuole e case private.
“……Nell’Ospedale e nelle Chiese di Castiglione sono stati depositati, fianco a fianco, uomini di ogni nazione. Francesi, Austriaci, Tedeschi e Slavi, provvisoriamente confusi nel fondo delle cappelle, non hanno la forza di muoversi nello stretto spazio che occupano. Giuramenti, bestemmie che nessuna espressione può rendere. Risuonano sotto le volte dei santuari. Mi diceva qualcuno di questi infelici:-“Ci abbandonano, ci lasciano morire miseramente, eppure ci siamo battuti bene!” Malgrado le fatiche che hanno sopportato, malgrado le notti insonni, essi non riposano e, nella loro sventura implorano il soccorso dei medici e si rotolano disperati nelle convulsioni che termineranno con il tetano e la morte….”
Stralci da “ Un souvenir de Solferino” di Henri Dunant.
Henri Dunant , insieme a quattro cittadini svizzeri decise di fondare un’associazione di volontari che in tempo di pace organizzasse l’assistenza ai feriti in caso di guerra. Nel 1863 nasce il “Comitato Internazionale per il soccorso dei feriti in guerra” che diventerà il Comitato Internazionale della Croce Rossa”

Nel 1864 venne firmata , da dodici nazioni, la Convenzione di Ginevra  che garantisce la neutralità e la protezione delle ambulanze, degli ospedali e del personale sanitario. Prevede, inoltre, la possibilità di sgomberare i feriti dal campo di battaglia.
Questa associazione di volontariato è nata durante un guerra, più di 150 anni fa, ma è , oggi, sempre presente nelle operazioni di soccorso in tutte le situazioni di emergenza.
Articolo di Andrea della classe 3 A.

mercoledì 23 marzo 2011

'Ndrangheta

Due anni fa nel cuore dell’Aspromonte, a Platì, paese che ha fornito forse il maggior numero di narcotrafficanti alla ‘ndrangheta, viene posto un questionario ai ragazzi di seconda media. Tra le domande c’è:”Qual è la cosa che ti dà più fastidio nel tuo comune?!. L’85 per cento dei bambini risponde: la caserma dei carabinieri.


A Platì non c’è nulla, l’unico futuro che si prospetta per quei bambini è quello di una vita in rapporto con la ‘ndrangheta. Lo stato viene visto solo come un’entità repressiva. Invece dobbiamo fare in modo che le regole vengano percepite come opportunità. Ma non c’è opportunità, soprattutto al Sud, se non ci sono diritti esigibili: intendo il diritto al lavoro, a una pubblica amministrazione trasparente, alla salute. Per educare alla legalità bisogna far diventare questi diritti “esigibili”. Faccio un esempio: in Emilia-Romagna e Lombardia la sanità è efficiente. Se ti rompi un braccio a Bologna o a Lodi la prima domanda che ti fai è: dove devo andare? Se ti rompi un braccio a Reggio Calabria o a Casal di Principe la prima domanda è: a chi mi devo rivolgere? Nella sostituzione tra il “dove” e il “chi”, c’è la sostituzione di un sistema universale di diritti esigibili, con un sistema di mediazione clientelare che è l’anticamera del modello mafioso. Il generico rispetto delle regole tuttavia non mi piace, perché rischia di essere una parola vuota. Per affermare una nuova stagione bisogna partire dalle scuole, ma non solo: penso al ruolo nelle aree di disgregazione sociale del Sud hanno le parrocchie e la Chiesa, alle associazioni della società civile che spesso sostituiscono uno stato assente. Un segno positivo è che cresce la domanda, nelle università e nelle scuole, di una formazione alla legalità, bussola di una nuova coscienza civica. Il problema però è che nelle aree degradate socialmente l’unica istituzione è la scuola pubblica, che oggi vive un momento di drammatica crisi di risorse. Abbiamo anche bisogno di condividere la repubblica, perché è un insieme di principi, valori e diritti che danno forma allo stato. E occorre far percepire quest’ultimo non come la controparte distante dai propri bisogni, ma il punto di garanzia per creare pari opportunità per l’accesso al proprio futuro.
Francesco Forgione, in passato deputato e presidente della Commissione antimafia, è tra l’altro autore di ‘Ndrangheta. Boss, luoghi e affari della mafia più potente al mondo (Baldini Castoldi Dalai,2008).
Articolo tratto da Antimafie/I buoni esempi /Cento passi per la legalità curato da Carlo Giorgi del magazine VENTIQUATTRO n°3 del 25 febbraio 2011 de quotidiano IL SOLE 24 ORE.

Il bullo e il panino

Fumetto di Alice della classe 1 A

martedì 22 marzo 2011

Il canto degli italiani

E’ questo il titolo originale del nostro Inno nazionale da tutti noi meglio conosciuto come FRATELLI D’ITALIA , scritto dal ventenne  genovese Goffredo Mameli nel 1847e musicato da un altro ragazzo genovese, Michele Novaro.


Quando lo abbiamo ascoltato per la prima volta in classe, con l’insegnante di lettere, nella sua versione integrale, ci siamo sentiti subito trasportare da quel suo coinvolgente ritmo marziale e ci siamo divertiti a cantarlo. Quale stupore imparare che nella sua versione originale è molto più lungo di quel ritornello che tante volte ci capita di canticchiare e che magari qualche volta stoniamo o storpiamo insieme ai giocatori della nostra nazionale di calcio. Ed è stato scritto e musicato con tanto entusiasmo e commozione da due ragazzi, poco più grandi di noi… sì erano proprio due ragazzi infiammati da tanto nobili sentimenti quelli che sui nostri libri di storia  e di musica sembravano due vecchi incartapecoriti nei loro ritratti risorgimentali.
Ecco il significato delle parole contenute nel nostro Inno:
Fratelli d’Italia, l’Italia si è svegliata, dell’elmo di Scipione l’Africano, condottiero romano che nel 202 a.C., vinse l’esercito cartaginese di Annibale a Zama, si è ornata la testa. Dov’è la vittoria? Questa vittoria deve porgere i capelli per farseli tagliare secondo l’usanza romana perché Dio la creò schiava di Roma e presso gli antichi romani le schiave portavano i capelli corti a differenza delle donne libere.
Stringiamoci a coorte, che è un’unità della legione romana, siamo pronti a morire, l’Italia ci chiama.
Noi siamo stati da secoli calpestati e derisi perché da quando è crollato l’Impero romano d’occidente non siamo più stati uniti in un unico popolo e siamo stati sempre divisi. Ci raccolga adesso un’unica bandiera, il tricolore, ed una speranza di unirci tutti insieme, già l’ora è arrivata.
Stiamo uniti ed amiamoci, solo l’unione e l’amore rivelano ai popoli il volere del Signore. Giuriamo di liberare dallo straniero il suolo dove siamo nati: se stiamo uniti nel nome del Signore chi potrà vincerci? (Nessuno).
Dalle Alpi alla Sicilia dovunque è il ricordo della battaglia di Legnano, dove i comuni lombardi nel 1176 fermarono Federico Barbarossa; ogni seguace del poeta Francesco Ferrucci, eroico difensore della Repubblica di Firenze da Carlo V d’Asburgo nel 1530, ha il coraggio e la mano armata; i bambini d’Italia si chiamano Balilla,soprannome di Giambattista Perasso, ragazzo genovese che guidò nel 1746 la rivolta del popolo contro l’occupazione austriaca; tutte le campane d’Italia hanno suonato per chiamare alla rivolta contro l’invasore, come fecero durante i Vespri siciliani ,rivolta popolare contro gli Angioini nel lunedì di Pasqua del 1282.
Gli italiani sono come delle piante di giunco che riescono a piegare le spade dei mercenari, perché sono mossi dall’amore della Patria: già l’impero d’Austria si è indebolito, ha bevuto il sangue d’Italia e insieme con l’impero russo anche il sangue della Polonia (nel 1846 Cracovia era stata annessa all’Austria), ma il cuore le si bruciò.
Il messaggio di unione e di amore trasmesso dal Canto degli Italiani a 150 anni di distanza è ancora attuale? L’Italia è ancora solo “un ‘espressione geografica” come sosteneva Metternich o è anche nel cuore e nella mente dei suoi cittadini? Ci sono ancora oggi molte rivalità regionali, tante disparità tra il Nord e il Sud del Paese, troppe incomprensioni e pregiudizi, anche la politica e l’economia odierne purtroppo fomentano questa disunione.
Il popolo italiano è come una calamita i cui poli si respingono, il compito di mettere le calamite nel verso giusto, cioè di far aprire il cuore e la mente degli Italiani verso l’unità, spetta proprio ai bambini ed ai ragazzi che sono ancora liberi da tutti i pregiudizi.
Ma i ragazzi di oggi che ne pensano dell’unità? Certo siamo molto lontani da Mameli e da Novaro,la maggior parte di noi è tutta presa dalle mode del momento e da internet, ma possiamo anche dire  grazie al computer se oggi li abbiamo conosciuti un po’ più da vicino con  delle ricerche e degli approfondimenti; abbiamo anche ascoltato e confrontato gli inni dei paesi stranieri da cui provengono alcuni nostri compagni di classe. E’ proprio da internet che abbiamo scaricato la musica ed il testo del nostro inno e ci siamo entusiasmati proprio come i giovani Mameli e Novaro. E’ molto importante riscoprire e ricordare la nostra storia e  la nostra cultura, che sono antichissime ed uniche al mondo, sono proprio queste le fondamenta della nostra nazione. Solo così ci sentiremo davvero uniti, perché abbiamo un lunga storia ed una splendida cultura che ci accomuna.

Articolo scritto da Lucia,Federico e Omar della classe 3 B

Overdose da videogame

Tutti conoscono la solita droga:cannabis, coca, eroina ecc…  Ma c’è anche un'altra verità: quella della droga virtuale indotta, soprattutto in adolescenti con problemi relazionali, dall’uso continuo di videogame che creano dipendenza;  questi ragazzi preferiscono giocare e parlare virtualmente al computer piuttosto che vivere insieme ai coetanei, a lungo andare anche il linguaggio dei ragazzi si modifica inglobando parole presenti nei videogame come si sente spesso dire “killare” (=uccidere).
Molti di questi ragazzi sono andati incontro alla cosi detta “overdose da videogame” che comporta gravi danni al cervello, per esempio alcuni dei sintomi da cui i genitori possono riconoscere che il proprio figlio gioca “un po’ troppo” ai videogame sono: nervosismo, agitazione, sbalzi comportamentali e come prima ho detto cambiamento del linguaggio.

In molte sale giochi in passato compariva un avviso <Winners don’t use drugs> (=vincitori non usate droghe).
Era l’inizio degli anni ’90 quando questo slogan campeggiava davanti agli occhi degli adolescenti.
Altri tempi, altri videogame: il fantasy la faceva da padrone, magari con qualche battagli cruenta.
Oggi il tempo, l’evoluzione tecnologica e lo sviluppo dei media hanno portato a riempire ogni passatempo di troppo realismo.
Il margine tra fiction e realtà è talmente labile da disorientare i più deboli come gli adolescenti che spesso le interpretano male e lo adottano come stile di vita e comportamentale.
Il videogioco oggi è estremo,crudo con l’introduzione delle nuove tecnologie come il “3D” o l’alta definizione, la differenza tra fantasia e realtà è mischiata in un mix esplosivo per una mente più vulnerabile come quella di un adolescente.

Lo sanno bene anche i preoccupati genitori, i negozianti ed i distributori, invitati tramite il bollino Pegi
(Pan-European- Game –Information) a indirizzare i giochi più violenti verso gli adulti.
Tuttavia questo spesso non succede perché in quasi tutti i negozi in cui si comprano videogiochi, che il gioco abbia un divieto ai minori di 18 anni o di 3 per i negozianti non fa’ differenza, solo alcuni, i più diligenti, si limitano a chiedere l’età, ma il problema non è solo quello perché il gioco lo vendono lo stesso anche i più diligenti venditori basta che al momento dell’acquisto sia presente un adulto. Nella maggioranza dei casi è il bambino che ci gioca, non il genitore, in questo caso la colpa è dei genitori che al momento della acquisto sottovalutano le potenzialità negative ed influenzanti di un videogioco in cui vi sono elementi che riportano alla droga, alla  violenza, alla prostituzione (e fidatevi potrei continuare all’infinito) con un fattore di realismo molto alto su un bambino di 7/8 anni che si intrattiene con giochi vietati ai minorenni.


Non voglio instaurare un clima da “caccia alle streghe”, ma rivolgo un invito a prestare attenzione: il problema della tossicodipendenza video ludica c’è, ma vanno considerati anche altri aspetti: quelli dei videogiochi che prendono spunto da realtà estreme e dunque possono indurre ragazzi “deboli” ad emulazioni pericolose.
Voglio concludere con un invito ai ragazzi che stanno molto al computer, anche non solo per i videogame, a vivere la vita reale “dal vivo” che è molto più bello di rimanere rinchiusi in casa a “chattare”.

Articolo di Omar della classe 3 B

lunedì 21 marzo 2011

Regole e libertà

Bambini o adulti? No,adolescenti!

Nel periodo dell’adolescenza ognuno entra in un stato di cambiamento che porta la personalità in una fase avanzata della vita.
Nel passaggio tra l’essere bambini e l’essere adulti si ha bisogno del rinnovamento dell’ambiente in cui viviamo, così si fa di tutto per trovare una nuova identità e si arriva persino a cambiare il proprio nome, come a voler rinnegare il proprio passato e così diventare delle persone completamente diverse.  L’adolescenza senz’altro è uno dei periodi più difficili dell’esistenza. In questa fase della crescita si devono affrontare molti problemi e molte responsabilità. Cambiano l’aspetto fisico e gli atteggiamenti, le situazioni e le amicizie, sembra che tutto cambi e con esso anche noi. In questo tratto del percorso  affiorano tutti i sogni e i progetti che vorremmo realizzare nella nostra vita. La maggior parte delle volte si sogna in grande e tutto sembra facile da raggiungere; si imitano gli idoli
e si spera in una vita prossima. Crescendo la nostra visione delle regole cambia. Da bambini queste sono interpretate come muri che non si possono superare e si seguono per paura delle conseguenze. Da adolescenti, invece, le cose cambiano. Essendo un periodo di passaggio fondamentale per la nostra vita, tutte le esperienze nuove sono stimolanti  e così ci si convince ad infrangere le regole. Quando si scopre  che le conseguenze non sono così paurose come si credeva diventa una sorta di divertimento fare quello che si vuole e ci si crede padroni del mondo. Ma le regole servono per proteggerci , per prepararci in modo
graduale alla vera vita adulta, e infrangendole non risolviamo niente. Naturalmente tutti dobbiamo fare le nostre esperienze e tutti prima o poi infrangiamo le regole, la cosa importante è trovare il giusto equilibrio perché tutto ha una conseguenza. Negli adolescenti, passata la prima fase di cambiamento, svanisce l’agitazione quotidiana lasciando posto a una calma che porta serenità. Alcuni ragazzi, per paura dell’età adulta, vogliono sembrare più forti e credono di poter trattare tutti come vogliono e senza rispetto.


Sentendosi più grandi credono di poter infrangere le regole  per apparire già adulti, ma al primo ostacolo si trovano disarmati e cercano aiuto nelle altre persone. Essere adulti invece vuol dire cavarsela con le proprie gambe in modo saggio e responsabile,  con autonomia,consapevolezza e voglia di essere migliori.
Non dobbiamo avere fretta di essere grandi, perchè quando sei adulto non puoi più tornare indietro a vivere quei momenti in cui eri libero:libero da tutto e da tutti.

Articolo di Matilda della classe 3B

Piantiamo il bullo!


Fumetto di Lorenzo S.della classe 1 A

domenica 20 marzo 2011

La droga

Una delle problematiche che circondano la nostra vita è rappresentata dall’uso delle sostanze stupefacenti,dette brevemente droghe.
La droga è un problema gravissimo soprattutto dopo la scoperta della sua capacità di diffondere il terribile morbo dell’AIDS, ma ciascuno continua a considerarlo un problema degli altri. Spesso le morti per tossicodipendenza occupano le prime pagine dei giornali, ma a volte, passano inosservate perché le persone non si accorgono della gravità della situazione.
Le cause di quest’allarmante fenomeno, si trovano nell’ambiente giovanile. I giovani ,infatti, soprattutto quelli tra i 16 e i 24 anni cercano un aiuto nella droga.
La droga, in molti casi, finisce per diventare un rifugio dai problemi  per i ragazzi. I tossicodipendenti non riescono a disintossicarsi da soli e per questo sono nate le comunità terapeutiche. Queste costituiscono, oggi, il punto di riferimento più sicuro per chiunque voglia smettere di drogarsi.
I tossicodipendenti , per avere i soldi per comprare la droga, cominciano a rubare in casa per poi. passare allo spaccio. Molto spesso i soldi non bastano perché ogni giorno il corpo necessita di droghe più forti. Si arriva allora allo scippo, alla rapina, anche all’omicidio. Il giro di denaro che viene a formarsi è stimato in oltre 500 miliardi di dollari l’anno.
La droga più usata dai ragazzi è la marijuana, ricavata da una pianta e a volte coltivata anche in casa.
Quelli che fanno uso di queste sostanze stupefacenti entrano in un mondo  virtuale e non si rendono conto che sono ad un passo dalla morte.
Vorrei tanto capire come sia possibile che nessuno  prenda seri provvedimenti per vietare non solo l’uso di droghe, ma anche il loro ingresso nel nostro paese.

Articolo di Karina della classe 2 A

Fiducia nelle Istituzioni

Giovi e il bullo



Fumetto di Lorenzo  L. della classe 1 A

venerdì 18 marzo 2011

Il bullismo scolastico

La scuola è senza dubbio il luogo in cui il “bullismo” si manifesta con maggiore frequenza, soprattutto durante l'intervallo e nella pausa pranzo, e nel tragitto casa  scuola. L'unico contrassegno che differenzia i due gruppi, cioè i provocatori e le vittime, è la forza fisica: queste ultime sono solitamente più deboli della media dei ragazzi. “Stranamente” ,i tratti estetici, come ad esempio l appartenere ad una razza diversa, giocano un ruolo di gran lunga minore nell'origine di questo fenomeno; con questo voglio intendere che non nasce appositamente per puri motivi razziali, ma che può coinvolgere chiunque.

CARATTERISTICHE

La caratteristica più evidente del comportamento da bullo è chiaramente quella di voler dominare gli altri e di mostrare una forte aggressività verso i compagni e, molte volte,anche verso genitori e insegnanti. Vantano spesso la loro superiorità, vera o presunta e si arrabbiano facilmente. Manifestano grosse difficoltà nel rispettare le regole e nel tollerare idee e pensieri che non corrispondono ai loro. I bulli hanno generalmente un atteggiamento positivo verso l'utilizzo di mezzi violenti per ottenere i propri scopi e mostrano una buona considerazione di se stessi. Il rendimento scolastico è vario ma tende ad abbassarsi con l'aumentare dell'età e, parallelamente a questa, si manifesta un atteggiamento negativo verso la scuola. All'interno del gruppo vi possono essere i cosiddetti bulli passivi, ovvero i seguaci o sobillatori che non partecipano attivamente agli episodi di bullismo. È frequente che questi ragazzi provengano da condizioni familiari educativamente inadeguate, il che potrebbe provocare un certo grado di ostilità verso l'ambiente. Questo fatto spiegherebbe in parte la soddisfazione di vedere soffrire i loro compagni.

LE VITTIME

Le vittime sono solitamente più ansiose ed insicure, spesso caute, sensibili e calme. Se attaccati, reagiscono chiudendosi in se stessi o, se si tratta di bambini piccoli, piangendo. Talvolta soffrono anche di scarsa autostima ed hanno un'opinione negativa di sé e della propria situazione. Le vittime sono caratterizzate da un modello reattivo ansioso o sottomesso, associato, soprattutto se maschi, ad una debolezza fisica, modello che viene rinforzato negativamente dalle conseguenze dei comportamenti sopraffattori. Solitamente le vittime vivono a scuola nella condizione di solitudine e di abbandono. Manifestano particolari preoccupazioni riguardo al proprio corpo: hanno paura di farsi male, sono incapaci nelle attività di gioco o sportive, sono abitualmente non aggressivi e non prendono in giro i compagni, ma hanno difficoltà ad affermare se stessi nel gruppo dei coetanei. Queste caratteristiche sono tipiche delle vittime definite passive o sottomesse, che segnalano agli altri l'insicurezza, l'incapacità, l'impossibilità o difficoltà di reagire di fronte agli insulti ricevuti; le ripetute aggressioni non fanno altro che peggiorare questo quadro di incertezza sulle proprie capacità. Esiste tuttavia un altro gruppo di vittime: le vittime provocatrici, caratterizzate da una combinazione di modalità di reazione ansiose e aggressive. Le vittime presentano sin dall'infanzia un atteggiamento prudente e una forte sensibilità.
Dal telegiornale

Il 5 novembre 2008 scorso un ragazzo handicap veniva umiliato e picchiato da alcuni compagni di scuola.  Quando ho sentito questa notizia al telegiornale sono rimasto agghiacciato nell'apprendere che un'insegnante, cioè un adulto significativo e con funzioni educative, restava indifferente ai maltrattamenti subiti dal ragazzo come se il fatto non lo riguardasse minimamente.
Mi chiedo quante volte, prima dell'accaduto, la stessa insegnante abbia trattato quel ragazzo come una "cosa", ignorandone le richieste e minimizzando il suo diritto di essere umano.
E allora non sorprende che ragazzi poco più che adolescenti non riconoscano l'umanità di quel ragazzo, non si identifichino con lui e non trovino fattibile la sintonizzazione emotiva. La violenza è solo conseguenza, quasi automatica, di tutto questo. Questo per quanto riguarda questa situazione in particolare, ma per generalizzare il discorso è inconcepibile che un adulto, assistendo al manifestarsi di questo evento rimanga impassibile e permetta questo scempio. Perciò, senza togliere nessuna colpa ai realizzatori di queste “molestie”, in quanto hanno fatto una cosa deplorevole, io darei la colpa, pari a quella dei “molestatori”, alle persone, ancor più grave se adulte, che assistono senza intervenire per paura di compromettersi, in quanto danno segno di sottomissione e di essere succubi di essi.

Tratto da Internet con considerazioni di Biagio della classe 1 A.

lunedì 14 marzo 2011

Alcool e motorino

Martedì 1° marzo abbiamo avuto un incontro con due esperti che lavorano in una comunità di recupero per tossicodipendenti. Ci hanno spiegato che bere troppo alcool ci fa vedere le cose diverse da come sono in realtà, perciò bisogna cercare di non esagerare, ma in questo le case produttrici non ci aiutano. La pubblicità è sempre più convincente; abbiamo visto due spot sulla birra che ne esaltavano solo i lati positivi.
La parte più interessante è stata quella riguardante le regole, sul consumo di alcoolici, previste dal codice della strada.
La maggior parte di noi segue il corso per ottenere il “patentino”.
Un adulto non può guidare con un livello di alcool nel sangue superiore a 0,5g/l ( anche se adesso il livello massimo si sta abbassando a zero); se è un minorenne viene trovato alla guida di un motorino con un livello di alcool tra lo 0g/l e lo 0,5g/l non potrà prendere la patente per la macchina fino a 19 anni, se invece, il suo livello è superiore a 0,5g/l non potrà avere la patente fino a 21 anni.
Questa norma è stata introdotta perché le multe, pagate dai genitori, non si sono rivelate efficaci.

Mattia della classe 3A

sabato 5 marzo 2011

Cento passi per la legalità


Come si fa oggi a trasmettere ai giovani il rispetto delle regole?

Contributo di Don Luigi Ciotti

Educazione alla legalità. Preferisco parlare innanzitutto di educazione alla responsabilità. Per due motivi. Il primo è che la parola legalità oggi è profondamente ambigua. Ci sono troppe leggi che, invece di garantire il bene comune, tutelano i privilegi e gli interessi di singoli o di pochi. Mi chiedo cosa c’entri tutto questo con la legalità. La legalità è un mezzo, non un fine. Il fine deve essere, sempre, la giustizia, anzi la giustizia sociale: non può esserci legalità se prima non c’è uguaglianza, parità dei diritti e dei doveri. La nostra Costituzione è in tal senso la base irrinunciabile per costruire una vera legalità. Il secondo motivo è che l’educazione non può passare solo attraverso il rispetto di norme, per quanto giuste e condivisibili. Un giovane, e ancora prima un bambino, devono essere accompagnati a capire il senso del vivere insieme, e quindi il perché di regole che consentono una convivenza rispettosa dei diritti e della libertà di ciascuno. La relazione e la prossimità sono allora i fondamenti della giustizia: non possiamo davvero capire il linguaggio delle leggi se prima non abbiamo imparato quello dei rapporti umani. Si è liberi insieme, non a prescindere dagli altri. Per questo credo sia importante puntare sulla responsabilità, far capire a un giovane che il modo più alto di realizzarsi è quello di impegnare la propria libertà per un fine più alto dell’io. Fargli capire che “responsabilità” significa vita libera dai calcoli e dalle paure, vita che costruisce la strada dei propri sogni. E che i cambiamenti partono anche dalle piccole cose, dall’impegno quotidiano, dal rifiuto delle scorciatoie e delle semplificazioni, dalla coerenza e dalla fedeltà ai propri ideali. Poi tutto ciò deve sfociare in cose concrete. I giovani che incontro nelle scuole, che vedo arrivare a migliaia nei campi estivi di formazione sui terreni confiscati alle mafie, che si spendono generosamente per dare una mano in contesti segnati dalla fragilità e dal bisogno, devono essere messi in condizione di concretizzare quelle aspirazioni. Non c’è nulla di più frustrante di uno slancio ideale condannato a restare tale per la mancanza di opportunità. La costruzione di risorse –materiali, sociali e culturali- è la prima delle questioni politiche, e bene ha fatto il presidente Napolitano a centrare il suo discorso di fine anno proprio sulla situazione giovanile. Il lavoro, lo studio, la possibilità di guardare con fiducia al futuro sono i presupposti della democrazia, quindi anche di una legalità davvero a tutela di ciascuno di noi.
Luigi Ciotti, sacerdote e giornalista, è uno dei simboli della lotta alla mafia. Nel 1995 ha fondato Libera, organizzazione che coordina oltre 1500 associazioni e gruppi impegnati nella diffusione della cultura della legalità.

Dall’articolo Antimafie/I buoni esempi/Cento passi per la legalità curato da Carlo Giorgi del magazine VENTIQUATTRO n°3 del 25 febbraio 2011 del quotidiano Il SOLE24ORE.

giovedì 3 marzo 2011

Violenza negli stadi

Il calcio è in assoluto uno degli sport più amati e quotati  in tutto il mondo. Da sempre nel cuore degli Italiani  regala ai propri tifosi  svago, emozione  e competizione. Non poche però sono le insidie che si aggirano  intorno  a questo sport.
La violenza negli stadi ad esempio  è la notizia più ricorrente. Molto spesso a causa di teppisti senza scrupoli  il mondo calcistico, viene posto sotto una grande lente d’ingrandimento dando origine a discussioni e critiche. Sono molti purtroppo  i giovani delinquenti che invadono gli stadi  per dare  libero sfogo  alla loro aggressività, insidiando non senza conseguenze lo sport professionale, trasformando molto spesso in tragedia il divertimento proprio e altrui. Per noia o per distrazione  la violenza diventa il loro hobby preferito prediligendo non a caso la domenica. Un modo come un altro  per fare del male deliberatamente, la tifoseria” è “il pretesto, un’occasione per sfogare il proprio istinto a delinquere dato che tali scontri avvengono oltre che con i rivali delle squadre avversarie, anche contro le forze dell’ordine. Come ben sappiamo e non solo nel mondo del calcio il giro d’affari  raggiunge cifre astronomiche, grazie agli sponsor ed ai diritti televisivi gli introiti  sono sempre più elevati superando di gran lunga le entrate derivanti dal pubblico pagante. I giocatori sono più che retribuiti ma questo non interessa al vero tifoso che sogna ed esulta per la propria squadra,accompagnandola in tutta la durata del campionato. Ed è forse questa la causa che inacidisce molti animi,che vive lo sport solo sotto l’aspetto materiale, senza considerare che per molti invece è un modo pulito di evasione,un modo per poter gioire ed emozionarsi con poco,un modo per incontrarsi e condividere la propria tifoseria. A nulla sembrano servire i vari controlli ad opera delle forze dell’ordine,la violenza da parte di tali individui riesce a prevalere su ogni tipo di piano strategico.     
Anche in questi casi un’educazione di base può favorire il rispetto dello spazio e della libertà altrui, la convivenza civile è in primis una giusta regola di vita. Una sorta di scambio entro cui ogni individuo ha dei diritti ,ma anche dei doveri verso gli altri .La prepotenza è un’arma  a doppio taglio che predilige come conseguenza e si ribatte inesorabilmente su colui che la mette in atto.
Ricerca di Filippo della classe  2A

martedì 1 marzo 2011

Solidarietà e legalità

Nella mia città,Pesaro,ci sono vari tipi di associazioni per fare volontariato: c’è chi dona il sangue(AVIS), chi dona soldi ai poveri, associazioni contro le malattie genetiche (TELETHON), varie associazioni per accogliere i senzatetto in una casa. Anche gli “Scout”, gruppo del quale faccio parte, danno un prezioso aiuto ai poveri.
Nel periodo natalizio, infatti, abbiamo venduto oggetti fatti da noi e vischio. Una buona parte del ricavato è andato in beneficienza. E’ stata organizzata anche una donazione da parte delle persone che vanno a fare la spesa alla Coop, dove si potevano comprare dei prodotti come intimo,pasta,zucchero,sale…che sarebbero poi andati in Africa. Quando ho consegnato la busta ai miei amici, Scout anche loro, ho avuto una sensazione di pace, felicità e ho pensato al bambino a distanza che abbiamo adottato quando sono nata, immaginandolo felice.
Fra le tante cose che si possono fare nella vita, è rimasto un valore sincero e vero per aiutare il prossimo. A questo proposito la mia classe ha preso l’iniziativa di aiutare una casa di accoglienza,”Casa Mariolina” per ospitare sette persone per dieci giorni. Per aderire all’iniziativa ci volevano 30 euro per la colazione, pranzo e cena di una persona. Abbiamo deciso, con i miei compagni, di rinunciare a comprare la pizza a scuola, ricavando 1 euro per ogni persona. Appena è stata raggiunta la somma di 30 euro, la somma è stata spedita alla Casa e un povero ha potuto vivere come una persona normale, al caldo, con cibo e acqua e con i vestiti puliti!
Ogni persona tende a pensare a se stessa, trascurando quelli che hanno meno di lei. Soprattutto non bisogna fare del bene solo a Natale, ma durante tutto l’anno perché aiutare il prossimo non serve solo agli altri, ma anche a noi per arricchirci, non di denaro, ma di amore e gioia. E’ un modo per non diventare egoisti, perché nel momento del bisogno, per noi ci sono tutti.
Mia madre mi ripete sempre questa famosa frase di Totò. “Prima o poi c’è la livella,livella per tutti”. Significa che quando arriva il momento di morire, è proprio lì che siamo tutti uguali, che non si distingue il bello dal brutto, il ricco dal povero.

Margherita della classe 3 A.