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mercoledì 9 dicembre 2015

Noi adulti e il coraggio di vietare

Non c’è nulla che non possa diventare un oggetto contundente. Persino una penna può ferire, un libro può far male.
Bisogna sapere come usarli, e a quale scopo. Figurarsi se non può offendere una chat o una frase su WhatsApp. Numerose ricerche indicano nel cyber bullismo un fenomeno diffuso e pericoloso: provoca depressioni, angosce, pensieri di suicidio.
Ne devono essere consapevoli i tanti genitori che mettono uno smartphone in mano ai figli, infanti o adolescenti. Educazione alle regole e ai limiti è la parola chiave sin dalla culla. Ma quanti adulti, anche nella vita pubblica, danno quotidianamente esempi opposti? Di oltraggio verbale, di eccesso sconsiderato nell’uso delle parole.
Vige l’assurda e astratta idea che la blogsfera sia una specie di far west senza regole in cui tutto, specie se in incognito, è permesso: scherzi trucidi, sfoghi di frustrazioni e di istinti primordiali. Se è così, tutto ciò che serve a riportare al senso della realtà è benvenuto: lo choc diventa inevitabile e salutare. Dunque, non si può che solidarizzare con il preside di Parma, che ha messo in piazza la violenza verbale dei suoi alunni, stufo di quel fasullo mondo parallelo in cui tutto sembra concesso (dall’irresponsabilità dei genitori prima che dell’incoscienza dei ragazzi).
Nella società liquida è difficile essere severi, ma bisognerà pur assumersi il dovere del divieto, per non arrivare a violare la sacrosanta riservatezza dei propri figli. Che significherebbe mandare a monte ogni rapporto di fiducia, cioè tutto.


Articolo di Paolo Di Stefano pubblicato sul Corriere della Sera del 2 dicembre 2015