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lunedì 18 novembre 2013

Come ha fatto mio padre a diventare imprenditore?

Mio padre ha una ditta di tinteggiature edili ereditata da suo padre più di vent'anni fa, in seguito alla morte di mio nonno.
Mio padre, ha finito la scuola a sedici anni e ha cominciato a lavorare subito; si alzava tutti i giorni alle sei della mattina e finiva alle sette di sera o per certi lavori anche alle due di notte. Nel 1991 la ditta che aveva ereditato era di sei, sette persone, ora ne conta una ventina e lavora anche fuori dalle Marche. Come mi spiegava essere a capo di un'azienda è molto difficile: devi dirigere tutti gli operai, i lavori e anche ricorrere, sempre più spesso, all' avvocato per fare pagare i lavori svolti.
La prima cosa da fare per diventare imprenditore è acquistare un immobile che farà da sede; secondo trovare dei dipendenti; terzo registrare la ditta alla Camera di commercio che attribuisce gli attestati e i certificati delle aziende, ne registra la nascita e rilascia la partita I.V.A, ovvero il codice in cui viene registrata l'azienda; quarto andare da un commercialista e farsi dire mensilmente un bilancio della tua azienda se in perdita o in guadagno e per ultimo andare all'I.N.A.I.L. per assicurare i tuoi dipendenti sul lavoro.
Ecco come si diventa imprenditore. Ovviamente, soprattutto in questo periodo è difficile diventarlo, ma con un pizzico di fortuna e tante conoscenze giuste ce la farai! Provaci anche tu!!!





Post di Tommaso della classe 3 A


mercoledì 13 novembre 2013

Piercing e tatuaggi

Piercing e tatuaggi: al giorno d’oggi è difficile trovare adolescenti e anche persone adulte che non abbiano nel proprio corpo almeno uno di questi elementi decorativi.
Moda alquanto discutibile, soprattutto quando viene meno il buongusto e prende piede l’esagerazione.
Personalmente, per quello che riguarda i piercing, gli unici che mi piacciono sono quelli alle orecchie, semplici e non in grande quantità, assolutamente trovo di cattivo gusto i dilatatori che invece sono tanto di moda tra i miei coetanei.
Stesso discorso per i tatuaggi: non critico chi si fa un piccolo disegno, magari ricco di significato, ma trovo orribili quelle persone che si rovinano con immagini enormi.
Il buon gusto si dimostra anche in questi casi.
Sta poi nell’intelligenza di ognuno di noi, nel caso si decidesse di farsi “abbellire” da queste due pratiche, di affidarsi a mani esperte e competenti, infatti, facendo il contrario, il rischio sarebbe elevato, bisogna rispettare norme igieniche ed utilizzare materiali sterilizzati e monouso, perché altrimenti c’è la possibilità di ammalarsi di patologie veramente gravi, come l’epatite e l’AIDS e sarebbe veramente ingenuo rovinarsi la vita per essere alla moda.


Post di Giulia della classe 3 A.

sabato 9 novembre 2013

Oggi rassicurarle può non bastare più.


In una palestra milanese un gruppo di bambine dai 6 agli 11 anni sta volteggiando tra pedane, parallele e assi. Nei loro body colorati appaiono snelle, agili, elastiche e scattanti.

Commento con gli istruttori l’ottima forma delle loro allieve ma una ragazzina, che a nostra insaputa ci sta ascoltando, interviene, picchiettandosi l’addome leggermente prominente: “Ma io ho la pancia!”. Secondo la pediatra, è una normale curvatura della spina dorsale, ma per Martina costituisce un inestetismo che turba la sua fragile autostima.

Se avesse sedici anni, osserva un chirurgo estetico (preoccupato per le richieste sempre più precoci di rimodellamento di corpi adolescenziali) quella bimba chiederebbe un intervento di liposuzione.

E forse la mamma, pur di rasserenarla, sarebbe pronta a esaudire il suo desiderio. Per fortuna Martina ha dieci anni e vi è ancora tempo perché impari ad accettare il suo corpo, imperfezioni comprese. In questi casi il bersaglio su cui indirizzare accuse, colpe e anatemi è sin troppo facile. Viviamo nella società dello spettacolo, dove l’apparire è più importante dell’essere e l’immagine femminile, mentre promuove merci e consumi, veicola illusioni di successo, felicità, amore e perfezione.

“Può essere così, devi essere così!” suggeriscono insinuanti messaggi rivolti ai giovani, i più ricettivi. Ma il controllo con le irraggiungibili divinità dell’olimpo mass-mediatico è frustante e persecutorio. Eppure è difficile sottrarsi alle loro suggestioni perché la nostra identità comprende due fronti. Da una parte abbiamo un corpo vissuto che percepiamo direttamente, dall’altra un’immagine del corpo che esponiamo al riconoscimento del mondo e, di rimbalzo, facciamo nostra.

Per questo non basta che gli educatori rassicurino Martina che il suo corpo è bello in quanto è dal contesto generale che la bambina s’attende approvazione e consenso. Solo valori più alti, testimoniati e condivisi, possono convincere i ragazzi a costruire un’identità complessa, inscritta in una storia di cui siano autori e protagonisti. E in questa direzione una campagna pubblicitaria, moralmente corretta ed esteticamente efficace, può costituire la prima mossa.

 

Dall’articolo della psicologa Silvia Vegetti Finzi pubblicato sul Corriere della Sera, supplemento Beauty, di giovedì 7 novembre 2013.

La lettura degli italiani? Purtroppo è un gioco.


In tutto il mondo la rivoluzione tecnologica che ha sconvolto l’industria culturale crea ricchezza e posti di lavoro. In America i quotidiani di antica tradizione vengono comprati dagli editori dei new media e dai leader del commercio elettronico. In Italia non succede. L’industria culturale produce soprattutto precari. Perché –purtroppo- siamo il popolo più ignorante del mondo; e non lo viviamo come una vergogna, ma come un vanto. Siamo convinti che studiare non serva a nulla, perché tanto sappiamo già quel che ci interessa. La rete è un oceano di parole che nessuno ascolta.

Tutti scrivono ,quasi nessuno legge. Basta viaggiare su un treno veloce per averne la prova. Quasi nessuno prende il giornale. Ovviamente, la colpa della scarsa abitudine della lettura degli italiani non è certo del personale delle ferrovie. Anche di libri, infatti,se ne vedono pochini, e sempre in mano a donne. La stragrande maggioranza dei passeggeri sta giocando con il tablet o con il cellulare. Qualcuno manda messaggi, qualcuno lavora, ma tanti stanno proprio giocando, abbattendo omuncoli colorati, nutrendo animali immaginari, allevando creature mostruose. Tutto questo può “divertire”, in senso etimologico: sviare,far pensare ad altro. Ma, soprattutto se si è giovani, e se un lavoro non lo si ha ancora, l’incapacità di concentrarsi, di memorizzare nozioni, di approfondire, di imparare, può avere effetti devastanti.

 

Post tratto dall’articolo pubblicato da Aldo Cazzullo su “Sette”,settimanale del Corriere della Sera del 1 novembre 2013.

lunedì 16 settembre 2013

Educazione digitale

Che cosa possono fare i genitori?

Controllare ciò che gli adolescenti fanno in Rete non è facile. Ogni giorno nascono nuovi social network e applicazioni e la mode digitali sono davvero volatili. Soprattutto quelle dei ragazzi. “Ma per i genitori fare attenzione all’educazione digitale dei figli è ormai imprescindibile”,spiega Luca Mazzucchelli,psicologo milanese. Ecco alcuni consigli per evitare che i nostri figli diventino vittime del cyber bullismo o si trasformino in soggetti attivi di questa pratica.
Quali accorgimenti “tecnici”possono aiutare a limitare i rischi legati all’uso di computer e smartphone da parte degli adolescenti?
Provate le applicazioni e i social network che i ragazzi usano di più. Tenete il computer di casa in sala o in un ambiente comune in modo da poterlo usare insieme. Per quanto riguarda il telefonino,invece,non proibitelo trasformandolo in una trasgressione ma limitatene l’uso. Utilizzate filtri e le impostazioni del vostro computer.
I nostri comportamenti possono influenzare quelli dei ragazzi’
Date il buon esempio,cercando di non farvi vedere sempre con lo smartphone in mano o attaccati al laptop. Non demonizzate social network e device, non servirebbe a niente se non ad allontanarvi dai vostri figli. Piuttosto cercate di dare il buon esempio usandoli in maniera consapevole e nel rispetto della privacy vostra e dei vostri figli.
In che modo si possono preparare i più piccoli ai pericoli che corrono in Rete?
Spiegate loro come difendersi dalle aggressioni online. E metteteli in guardia sui rischi che comporta diffondere in Rete i dettagli della propria vita personale.
Che cosa fare se si sospetta che un ragazzo sia vittima di cyber bulli?
Parlate con lui/lei del fenomeno e spiegategli/le che non si tratta di qualcosa di reale. Ma di virtuale. Segnalate l’abuso agli insegnanti,alle autorità e ai responsabili dei social network. Nel caso chiedete un supporto psicologico per i vostri figli.
Quali sono i possibili segnali di allarme a cui prestare attenzione?
Se vostro figlio trascorre troppe ore al telefono e al computer potrebbe esserci qualcosa che non va. Occhio anche all’isolamento. Non voler andare a scuola e non voler più veder nessuno è uno dei primi campanelli di allarme di cyber bullismo.




Tratto dall’articolo di Marta Serafini pubblicato sul”Corriere della Sera” del 16 settembre 2013.

martedì 18 giugno 2013

Lacerate,sporche o scolorite ecco le bandiere d'Italia


Tanti tricolori rovinati penzolano nelle nostre città

“Chi rispetta la bandiera da piccolo, la saprà difendere da grande”. E’ una tipica frase da libro Cuore. Infatti fu messa in bocca da Edmondo De Amicis a un vecchio ufficiale in pensione cha aveva fatto la guerra di Crimea e che parlava con quella fierezza anacronistica, decisamente patriottico -militaresca, a un gruppo di giovani.
Si potrebbe postillare banalmente che se la bandiera non la rispettano i grandi, tantomeno sapranno rispettarla i piccoli. Se poi il tricolore viene maltrattato nelle scuole e nei luoghi istituzionali della maggiori città, dove spesso penzola sfibrato e stracciato senza avere neanche più la forza di sventolare, viene fuori fatalmente il quadro di un Paese che ha perso l’amor proprio e il senso orgoglioso di un’appartenenza, pur non essendo da tempo -grazie al cielo- militarescamente patriottico come desiderava l’ufficiale deamicisiano. Perché questo, semplicemente, dovrebbe essere una bandiera: il simbolo dell’orgoglio nazionale, in cui si riassume il vivere collettivo( e non solo quando gioca la Nazionale ma anche nella vita ordinaria).
Non c’è nessuno straccio di Paese (povero,distrutto,affamato) che abbia perso a tal punto il senso della collettività da non credere più nel proprio simbolo.
Non c’è immagine più tristemente significativa del tricolore che si affloscia pallido ed esausto dalla facciata di un palazzo pubblico: scuola,tribunale,teatro,caserma…
Dal Sud al Nord, senza distinzione, la bandiera è abbandonata al suo destino dall’incuria, dalla strafottenza, dall’indifferenza, le stesse che lasciano andare a rotoli i monumenti e il patrimonio culturale in cui dovrebbe riconoscersi una comunità che abbia memoria e consapevolezza di sé e dalla propria storia. Come se il loro malinconico destino non fosse il nostro stesso destino. Non simbolico ma molto reale.



Dall’articolo ( parte iniziale e finale) di Paolo Di Stefano pubblicato dal Corriere della Sera del 17 giugno 2013.

domenica 9 giugno 2013

Educazione alla legalità

I documenti normativi, le linee guida e le circolari del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e Ricerca,riguardo all’educazione alla legalità, indicano quale miglior metodo l’esperienza sul campo cioè la pratica e l’esempio in ogni momento della vita scolastica ed extrascolastica di quelli che sono i principi dell’educazione alla legalità, primo fra tutti il rispetto delle norme.
L’esempio quotidiano dei docenti nell’esercizio dei diritti e dei doveri ed il reciproco confronto con gli studenti, affinché anch’essi abbiano la possibilità di esercitare i loro diritti e doveri, realizza l’educazione alla legalità.
Inoltre, l’educazione alla legalità coinvolge oltreché i docenti anche i genitori (patto di corresponsabilità) e le istituzioni esterne, si dimostra trasversale alle discipline scolastiche, agli ambiti di vita degli studenti e delle persone in generale.
Nel tempo l’educazione alla legalità a scuola ha visto ampliarsi il suo campo d’azione applicando i suoi principi nell’esplicazione dei diritti e dei doveri dei cittadini ad altri ambiti quali ad esempio l’ambiente, la salute e non ultimo l’economia.
Quest’ultimo è un ambito dove l’educazione alla legalità ha ragione di individuare e favorire il rispetto dei diritti e dei doveri dei cittadini-risparmiatori e dove la scuola deve intervenire nel suo ruolo educativo. La crisi economica in corso ha contribuito a distruggere il valore della solidarietà contributiva previsto anche dalla Costituzione nell’art. 53:”Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”.



Parte finale dell’intervento”Educare alla legalità nei diritti e nei doveri di alunni e docenti” di Roberta Cadenazzi pubblicato sulla rivista “Scuola e Didattica” n°10 del giugno 2013 Editrice La Scuola Brescia.