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martedì 27 dicembre 2011

Se il figlio è un bullo...

IL FIGLIO E’ UN BULLO, PAGANO I GENITORI. L’EDUCAZIONE E’ UN AFFARE DI FAMIGLIA.

I genitori devono pagare i danni causati dai figli minorenni, perché hanno il potere-dovere di esercitare vigilanza sul loro comportamento e di svolgere adeguata attività formativa, impartendo l’educazione al rispetto delle regole del vivere civile. E’ la sentenza-la 26200-con cui la Cassazione condanna i genitori di un ragazzo colpevole di una testata in bocca all’avversario in partita, a gioco fermo. Ben venga la sentenza, che richiama i genitori al loro ruolo, in barba ai dettami dell’ultimo cinquantennio che li volevano amici e complici e che ne hanno spesso fatto perenni adolescenti. La paura fa novanta, può darsi faccia anche genitori consapevoli.
A un esame imparziale, una percentuale di danno andrebbe ascritta agli altri responsabili-addetti e non- dell’educazione. A quelle scuole che lasciano impuniti i bulli, ai video che esaltano botte e peggio, a certa cronaca e social network che fanno altrettanto. Ai video giochi, compreso quello che dopo i mondiali di Francia del 2006 esortava:”Usa il mouse per dare una testata a Materazzi cercando di fare una marea di punti e provare l’emozione di essere espulso”.
Più problematico il metodo per evitare la condanna: i genitori “dovranno dimostrare di aver impartito al figlio una buona educazione ed aver esercitato una vigilanza adeguata, in conformità alle condizioni sociali e familiari, all’età, al carattere e all’indole del minore”.
Come lo dimostreranno? Chiedendo ai vicini, che di solito dopo un omicidio dicono “era così tranquillo”? E come misurare la percentuale di maleducazione dovute all’indole e al carattere, con guerre di certificati di parte? E se i genitori non conoscessero loro stessi le regole del vivere civile? Ci vorrebbe un esame per questo, fatto da chi? E per i genitori bocciati, pagheranno i nonni? O si terranno corsi di recupero collettivi intergenerazionali? Insomma, questa sentenza è altamente stimolante e opportuna, se darà inizio a un processo di coscienza e di formazione: a più mani.

Federica Mormando
Dal Corriere della Sera del 11 dicembre 2011.

1 commento:

  1. Giusto, sempre se non vogliono mandare i loro figli in comunità!

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