Post più popolari

sabato 1 dicembre 2012

Più impegno contro l'analfabetismo, l'istruzione non è solo per gli umanisti


Una ricerca, The Learning Curve, realizzata dalla Pearson, certifica quanto siamo caduti in basso sul piano dell’istruzione. Nella classifica dei 50 Paesi considerati, in cima alla quale si collocano Finlandia e Corea del Sud, l’Italia è al ventiquattresimo posto. C’è da meravigliarsi? Non troppo, se è vero che l’analfabetismo funzionale registra da noi percentuali altissime (fino al 70 per cento), come da tempo segnalano, inascoltati, gli esperti: non sappiamo leggere né scrivere se non testi elementari. Il rapporto di Pearson non meraviglia, si diceva. Rappresenta però un nuovo allarme sociale che dovrebbe sollecitare con urgenza la sensibilità politica. Invece, in Italia, la richiesta di sensibilità e di supporto (non solo morale ma anche economico) all’istruzione viene declassata a ingenuo desiderio di anime belle o di umanisti al di fuori del mondo che ignorano le (ben altre) vere urgenze economiche.
La ricerca invita, tra l’altro, a considerare come fattore cruciale l’importanza che la società attribuisce alla scuola e agli insegnanti. Se è così, lo sconforto si potrebbe anche rovesciare in meraviglia al positivo: per un Paese come il nostro, che ha nel suo tessuto profondo un’opinione poco più che dispregiativa della classe docente, reggere al ventiquattresimo posto può persino apparire come in mezzo miracolo.
Mi diceva un’insegnante universitaria di Catania che quando un suo studente, qualche giorno fa, l’ha vista salire su una vecchia Seicento, si è rivolto a lei con una sorta di monito pieno di ironia: “Vede a cosa serve studiare?”. Il fatto è che molti italiani ( i giovani devono averlo appreso dai genitori) ritengono utile alla vita solo ciò che produce ricchezza hic et nunc. Dunque: se i professori sono così scalcinati, a che serve saper leggere, scrivere, far di conto? In questa prospettiva, una delle affermazioni in sé più banali del report di Pearson: “I bravi insegnanti meritano rispetto”, suona addirittura come uno slogan rivoluzionario. E siccome, a differenza di quel che si crede, l’insegnamento non è necessariamente una missione ( se non in uno stato di emergenza culturale ), è urgente che ai bravi docenti italiani venga riconosciuto il ruolo che i loro colleghi hanno in Finlandia e in Corea. Con i diritti e i doveri del caso.

Paolo Di Stefano
Articolo tratto dal Corriere della Sera del 27 novembre 2012.

Nessun commento:

Posta un commento