In
tutto il mondo la rivoluzione tecnologica che ha sconvolto l’industria
culturale crea ricchezza e posti di lavoro. In America i quotidiani di antica
tradizione vengono comprati dagli editori dei new media e dai leader del
commercio elettronico. In Italia non succede. L’industria culturale produce
soprattutto precari. Perché –purtroppo- siamo il popolo più ignorante del mondo;
e non lo viviamo come una vergogna, ma come un vanto. Siamo convinti che
studiare non serva a nulla, perché tanto sappiamo già quel che ci interessa. La
rete è un oceano di parole che nessuno ascolta.
Tutti
scrivono ,quasi nessuno legge. Basta viaggiare su un treno veloce per averne la
prova. Quasi nessuno prende il giornale. Ovviamente, la colpa della scarsa
abitudine della lettura degli italiani non è certo del personale delle
ferrovie. Anche di libri, infatti,se ne vedono pochini, e sempre in mano a
donne. La stragrande maggioranza dei passeggeri sta giocando con il tablet o
con il cellulare. Qualcuno manda messaggi, qualcuno lavora, ma tanti stanno
proprio giocando, abbattendo omuncoli colorati, nutrendo animali immaginari,
allevando creature mostruose. Tutto questo può “divertire”, in senso
etimologico: sviare,far pensare ad altro. Ma, soprattutto se si è giovani, e se
un lavoro non lo si ha ancora, l’incapacità di concentrarsi, di memorizzare
nozioni, di approfondire, di imparare, può avere effetti devastanti.
Post tratto dall’articolo
pubblicato da Aldo Cazzullo su “Sette”,settimanale del Corriere della Sera del
1 novembre 2013.
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