Cari
genitori, una domanda molto semplice: “Lascereste i vostri ragazzi uscir soli
la notte?”. “Ma siamo matti!” suppongo la risposta. Eppure gli permettete di
navigare sul web senza vigilare su dove vadano chi incontrino. Tanto, chiusi
nella loro cameretta sembrano al sicuro. Ma le strade telematiche sono molto
più pericolose di quelle cittadine. Per le vie reali circolano persone più o
meno raccomandabili, ma pur sempre in carne ed ossa, che si espongono in prima
persona al riconoscimento degli altri.
In
chat navigano invece perfetti sconosciuti, vandali senza nome e senza volto che
si permettono di lanciare insinuazioni, offese , e minacce. Celati dietro lo
schermo dell’anonimato, procedono impuniti, spesso ignari dei drammi che hanno
provocato.
Una
ragazza di Venaria, domenica 13 aprile, si è gettata dal sesto piano ma non è
la prima né l’ultima vittima di una violenza che ferisce e talora uccide,
proprio i più fragili, i più vulnerabili.
Tutti
i ragazzi, indipendentemente dal loro aspetto, sono “fisiologicamente” in crisi
d’identità. Come brutti anatroccoli in attesa di trasformarsi in cigni, si
sentono inadeguati, “sfigati” e soli. Il rischio li attrae, il pericolo li
affascina perché vi trovano una misura del loro valore. Ma, anche quando
ostentano sicurezza e rivendicano autonomia, vanno protetti dalla loro stessa
audacia. Negli ultimi tempi, una serie di casi di suicidio di adolescenti
vittime di cyber bullismo ha indotto la commissione “Diritti umani “ del Senato
a predisporre un disegno di legge che obblighi i gestori a chiudere i social
network ritenuti pericolosi. Una tutela necessaria ma insufficiente se non si
responsabilizzano i ragazzi e non si preparano gli educatori, genitori e
insegnanti, a intervenire monitorando e filtrando gli scambi in Rete.
Cerchiamo
di evitare che la “generazione digitale” si trovi ad essere al di qua e
abbandonata a se stessa al di là dello schermo.
Articolo di Silvia
Vigetti Finzi pubblicato sul Corriere della Sera del 17 aprile 2014.
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