Gli adolescenti
aggressivi in realtà proiettano sulle vittime un conflitto interiore con parti
della propria personalità. Il web amplifica questa dinamica. La soluzione?
L’attenzione. E lavorare sulla socialità.
Il
bullismo è sempre esistito ma la causa che lo ha ulteriormente diffuso e potenziato
va attribuita a Internet. La possibilità di nascondersi dietro un’identità
fittizia costituisce un formidabile incentivo a esprimere impunemente le
pulsioni erotiche e aggressive, dove la comunicazione è virtuale ma le
conseguenze sono reali.
Come
ogni leader, anche se negativo, il bullo interpreta le esigenze di gruppo e
cerca di realizzare desideri che i seguaci, da soli, non riuscirebbero neppure
a immaginare. Dietro comportamenti sprezzanti ed esibizioni di potenza rivela
però un conflitto interiore con parti di sé che, non riuscendo a integrare,
proietta sulle vittime: i coetanei affetti da inestetismi, i gay, gli
handicappati, gli immigrati o il primo della classe, il famoso “secchione”.
I
testimoni diretti o indiretti delle sue bravate, benché consapevoli di essere
complici di un atto immorale e talora penalmente perseguibile, evitano di
denunciare o testimoniare perché si identificano con lui. In ogni caso, dobbiamo considerare le condotte trasgressive dei ragazzi
come richieste di aiuto.
Da
parte sua la vittima, anche se innocente si vergogna, si colpevolizza e,
temendo di suscitare uno scandalo, preferisce mantenere il segreto. Ma accade
che il bullo sia una bulla e che, attraverso l’esclusione e la maldicenza,
diretta o virtuale, riduca la perseguitata alla disperazione.
Il
bullismo femminile, più sottovalutato e meno frequente di quello maschile,
rimane spesso segreto anche se, psicologicamente, può risultare più devastante.
Per aiutare le vittime occorre saper cogliere i segnali di malessere, anche
indiretti: se improvvisamente cala il rendimento scolastico, considerano un
incubo che rischia di cronicizzarsi.
Il
cattivo uso della comunicazione rivela spesso gravi carenze nelle relazioni
fondamentali. Di conseguenza, richiamare i ragazzi fuori dalle pareti
domestiche, favorire le amicizie, offrire forme di partecipazione e d’impegno,
è il modo migliore per contrastare la dominazione delle tecnologie.
Resta
comunque il sospetto che, se avessimo potuto individuare precocemente il male
di vivere che li opprime e intervenire efficacemente, avremmo potuto evitare
molte sofferenze. L’attenzione è il contributo migliore che possiamo offrire
all’evoluzione dei ragazzi, aiutandoli a far buon uso della loro aggressività.
Articolo di Silvia
Vigetti Finzi da “La Lettura” del Corriere della Sera del 25 settembre 2016